Il nostro studio, tra le varie attività, si occupa anche di recupero crediti, sia per i privati che per le aziende, sia in forma stragiudiziale che contenziosa.

Ma come si può tutelare il creditore nei confronti del soggetto che ha contratto un debito ma che non lo ha onorato – o non è in grado di onorarlo – nei termini stabiliti?

Innanzitutto, prima di intraprendere la strada del recupero “forzoso” del credito, è necessario valutare l’effettiva possibilità da parte del debitore di far fronte al debito: “ma il mio debitore ha i soldi per pagarmi?”.

Questa è una domanda che spesso i creditori non si pongono, o almeno, non si pongono subito, ma che, invece, è fondamentale, soprattutto nei casi in cui ogni tentativo stragiudiziale non abbia dato alcun esito positivo.

Quindi, prima di illudere il cliente dicendo che il recupero crediti è una procedura “semplice” – anche se tecnicamente può sembrarlo – il nostro studio, in primo luogo, cercherà di capire quale può essere l’effettiva buona riuscita di una procedura di recupero, ossia se il debitore sia solvente o meno.

Cosa significa essere solvente? Significa la possibilità in capo allo stesso di soddisfare le pretese creditorie della sua controparte con liquidità o, in mancanza, con beni che siano “aggredibili”, come per esempio, beni immobili, crediti nei confronti di terzi, uno stipendio o una pensione etc.

Insomma il solo fatto di “non avere soldi” non comporta automaticamente l’impossibilità di recuperare il proprio credito, come altrettanto automaticamente il fatto di avere un credito da recuperare non comporta la certezza di riuscire a recuperarlo rivolgendosi ad un legale.

Per fare una prima valutazione è fondamentale, se si tratta di un’azienda, fare una visura camerale presso la Camera di Commercio competente, cosa che possiamo fare on line in tempo reale, per verificare se tale azienda ha subìto procedure di liquidazione o, peggio, procedure concorsuali come fallimento o concordato preventivo.

Nel caso si tratti di un soggetto privato, va verificata preliminarmente la consistenza patrimoniale dello stesso, ossia se sia proprietario di beni immobili o beni mobili registrati (automobili, barche o altro), nonché se il soggetto sia titolare di uno stipendio o di una pensione o di qualsiasi altro credito nei confronti di altri. Per questo tipo di indagini lo studio – quando è ritenuto necessario ed indispensabile – si rivolge ad agenzie investigative specializzate nel “rintraccio” di attività e beni del debitore.

Una volta svolte queste verifiche, il primo passo da compiere è mandare una lettera di diffida che, nel caso di debitore privato sarà inviata a mezzo raccomandata r.r., nel caso invece si tratti di un’azienda, potrà essere inviata anche tramite PEC, che ha il medesimo valore legale della raccomandata ma comporta il vantaggio dell’immediatezza nell’invio.

Nella diffida indicheremo il credito vantato e daremo un termine – solitamente di dieci giorni – per l’adempimento spontaneo, avvertendo contestualmente che, in caso di mancato adempimento, procederemo avanti la competente autorità addebitando i costi relativi alla procedura e gli interessi di mora che saranno calcolati (nel caso di credito nascente da transazione commerciale) secondo quanto previsto dal decreto legislativo 231 del 2001.

Nel caso il debitore intenda pagare spontaneamente, sarà tenuto a corrispondere gli interessi di mora nonché un contributo alle spese legali.

Nel caso in cui, invece, il debitore non paghi, si passerà alla fase così detta del recupero “forzoso” del credito, ossia attivando la procedura del recupero mediante lo strumento del “decreto ingiuntivo”.

Verrà depositato presso l’autorità giudiziaria competente (Giudice di Pace per crediti fino a 5000 euro, Tribunale per crediti oltre tale importo) un ricorso volto ad ottenere una pronuncia di condanna al pagamento.

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